L’errore più grande che si potrebbe fare con le presupposizioni di base sarebbe mostrarle ad un profano tal quali sono, senza spiegazioni: molto probabilmente ad un primo sguardo distratto sembrerebbero le solite frasi motivazionali da due soldi che circolano su internet.
In realtà la loro struttura breve e incisiva è il risultato di un lavoro di sintesi che Richard Bandler e John Grinder prima e Robert Dilts poi, misero a punto per fissare una struttura di assunzioni da cui partire.
Esse non sono delle verità assolute, perché in PNL non ci si basa tanto su ciò che è vero quanto su ciò che funziona: questo perché se ogni persona ha una mappa differente nessuna verità può essere assoluta, invece il cervello umano ha invece un funzionamento uguale per tutti.
Le presupposizioni di base sono quindi, come suggerisce il nome, dei punti di partenza su cui si poggiano tutte le teorie successive della PNL, necessarie per comprendere la disciplina e il suo funzionamento.

Le principali presupposizioni di base sono 11:

  • La mappa non è il territorio
  • Mente e corpo fanno parte dello stesso sistema
  • La realtà è percepita attraverso i 5 sensi
  • Fai il meglio che puoi con le risorse che hai
  • Il significato della tua comunicazione è nella risposta che ottieni
  • Ognuno ha tutte le risorse dentro di sé
  • Cambia la percezione della realtà
  • Le persone non sono i loro comportamenti
  • Non c’è fallimento ma solo risultati
  • Ogni comportamento ha un’intenzione positiva
  • Chi ha più flessibilità domina

Le presupposizioni di base ci spiegano innanzitutto un concetto fondamentale: quello di “mappa”, intesa come la rappresentazione della realtà che ogni persona forma nella propria testa, unica e soggettiva.

Questo principio fu formulato inizialmente dal fondatore della semantica generale, Alfred Korzybski (1879 – 1950), che riconobbe la distinzione fondamentale tra le nostre mappe del mondo e il mondo stesso.
Il modo in cui le persone percepiscono il mondo non è neutrale, ma si basa su una complessa concatenazione di filtri attraverso cui le informazioni passano prima di essere processate: i nostri canali rappresentazionali (visivo, auditivo, cinestesico), le nostre credenze e convinzioni, la cultura in cui siamo cresciuti, tutte queste cose modificano inevitabilmente la nostra percezione della realtà.

Se quindi noi ci formiamo una mappa del mondo, che è diversa dalla mappa di chiunque altro, è inevitabile che il primissimo scopo della comunicazione dovrà essere quello di comprendere la mappa altrui e far comprendere la nostra.
Ciò che invece frequentemente accade è la sovrapposizione della nostra mappa su quella degli altri: da qui gli infiniti fraintendimenti a cui andiamo incontro, la difficoltà nel far comprendere i nostri bisogni e comprendere quelli altrui.
Questo ci porta anche alla comprensione che la responsabilità della comunicazione è sempre di chi comunica, il che ovviamente cozza contro una delle frasi preferite dalle persone, ovvero: “Tu non mi capisci”.

Da qui è facile comprendere che i comportamenti degli altri non solo non li rappresentano nella loro interezza, ma hanno sempre dietro di sé un’intenzione positiva: queste consapevolezze ci aiutano non soltanto a capire meglio gli altri, ma anche a capire noi stessi, perché troppe delle nostre azioni e dei nostri pensieri non sono realmente sotto il nostro controllo bensì frutto di una programmazione avvenuta durante l’infanzia, soprattutto.

Ciò che reputiamo giusto o sbagliato, il nostro concetto di “famiglia”, “giustizia”, “rispetto”, e così via, tutto ciò che ci muove è stato messo dov’è dalle figure di riferimento che abbiamo avuto durante la crescita.

Se nemmeno i nostri “principi primi” sono assoluti, è logico allora che “chi ha più flessibilità domina”: non solo la capacità di adattamento è la più preziosa risorsa dell’umano a livello evolutivo, ma anche senza scomodare i nostri antenati è facile capire come questa qualità ci sia incredibilmente utile ancora oggi.
Non possiamo agire sul mondo, nella maggior parte dei casi, ma possiamo agire sul modo in cui lo percepiamo, e non restare rigidi sulle nostre posizioni ci conferisce un grande vantaggio.

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